ROBA DA MATTI

forum dedicato agli argomenti riguardanti la ex psichiatria, la psichiatria, la vita all'interno dei manicomi

09/04/2019 16:01:05
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ROBA DA MATTI

Un grande e imponente meraviglioso cancello apre le porte e ci introduce nella città dei folli. Un alto muro di cinta divide quello spazio dal resto della città vivente. A sinistra oltre quel muro si affacciano le finestre del liceo e occhi curiosi scrutano oltre quel muro, alla ricerca di quelli che forse un tempo erano ancora persone.

Siepi, arbusti e alberi accompagnano quei lunghi viali nei quali si affacciano, alla destra e alla sinistra i padiglioni femminili e maschili ...il primo reparto uomini, il primo reparto donne...il secondo reparto uomini, il secondo reparto donne e così via, destinati alle diverse categorie di ricoverati, a destra i femminili, a sinistra i maschili: i padiglioni dei Tranquilli e delle Tranquille, i padiglioni dei Semiagitati e delle Semiagitate e poi quelli degli Agitati e delle Agitate. E poi la Direzione, la mensa, la lavanderia, il bar, gli uffici degli assistenti sociali e ... lo spazio di ritrovo per le attività ludico pittorico aperto a tutti i degenti. Inizialmente al pomeriggio in quello spazio venivano svolte le nostre attività di espressività pittoriche e ricreative, proiezioni di film, lettura. E quante chiacchierate! Ricordo il dott. Pippo che prima di ammalarsi faceva il medico, fidanzato con la maestra Clarabella, donna colta e dal portamento aristocratico. Lui aspettava quel momento e mi attendeva per parlare e io mi rivolgevo loro dando del lei, tanto avevano conservato le loro antiche caratteristiche. E che dire di Salvatore quando mi cercò per regalarmi i due anatroccoli! Il suo desiderio più grande era che sposassi suo padre, il grande Gheddafi! Oppure Mario e le poesie scritte per noi o signor Alfonso con le sue mani screpolate a furia di sfregarle quelle mani che non stavano mai ferme. Ci sarebbero mille e un aneddotto da raccontare. Li porto tutti con me, ma amo anche condividerli così da socializzare l’importanza del loro passaggio nella mia e nostra vita.

In prossimità di questo luogo un ampio spazio dove tutte le mattine, dal lunedi al venerdi, tanti di loro si riuniscono ad attendere l’arrivo di un pulmino che ne preleverà solo una parte di essi.

Ho solo accennato in un altro post alla mia esperienza con i "folli" di Villa Clara. Era già stata varata da tempo la 180 e dopo i miei studi non avevo ancora ben deciso che fare da grande, tanti gli ambiti di interesse ma senza che niente mi appassionasse. Ebbi poi la fortuna di superare una selezione per accedere al percorso specialistico  per Ortofrenisti (tecnici del recupero della mente), solo dieci posti per tutta l'Italia. Percorso lungo e molto impegnativo ma che diede una svolta significativa alla mia vita. Non arrivammo in dieci alla fine, qualcuno abbandonò prima.

Il vento di riforma psichiatrica si feceva fortemente sentire anche quà, i quotidiani locali parlavano di psichiatria, di Villa Clara, dei folli. Lentamente qualcosa andava modificandosi ed anche a livello politico si iniziava a tenere in considerazione il problema dei degenti manicomiali e dei sofferenti psichici in generale.

La Regione Sardegna che gestiva la Formazione Professionale prestò attenzione al problema e diede il via ai corsi di formazione triennali per degenti dell'O.P. A gestirli fu un importante ente di formazione che operava sul territorio nazionale con attenzione a quell'utenza che veniva definita "particolare". Tutti noi venimmo assunti e chiamati ad operare in differenti percorsi; anche in questa fase ci fu una selezione naturale: diversi colleghi abbandonarono perchè percorrere un pezzo della propria vita in quella realtà significava concedere un impegno di cui solo oggi, forse, ne comprendo a fondo l'entità e che conseguentemente ha portato a fare scelte di vita importanti. Anche questo lo comprendo solo ora.

Ebbi la fortuna e mi piace definirla così, di essere stata destinata a lavorare con le persone folli di Villa Clara. Anzi, lo chiesi io. Sollecitava la mia curiosità quel mondo a me sino ad allora sconosciuto. La prima volta che entrai in manicomio, attraversai quel lungo viale popolato da persone folli: i sorrisi uscivano da quelle bocche defraudate dei denti che lanciavano sorrisi e parole senza senso.

Allora.

Lo attraversai con molta tranquillità, ora parlando con l’uno e ora con l’altro. Ho sempre pensato che in me ci fosse come una calamita ad attirare le persone particolari...

 

E' lunedì e sono le otto. Puntuale il pulmino arriva a prelevare 22 di loro. A bordo a turno uno di noi operatori ad accertarci che tutti fossero presenti. Solo un serio motivo impediva a qualcuno di arrivare, troppo era il desiderio di varcare quell'immenso cancello. Ma quando prendemmo consapevolezza del luogo capimmo che l'organizzazione manicomiale impediva la puntualità. Decidemmo allora di utilizzare le nostre auto ed essere lì in anticipo rispetto all’orario di arrivo del pulmino così da poter entrare nei reparti dove alloggiavano i nostri utenti. Ancora ne percepisco i rumori, le voci, le urla, gli odori...pipì e varecchina, un odore che mai ha abbandonato il mio olfatto. E poi quei corpi rannicchiati negli androni, stracci sgualciti, i cameroni pieni di letti, le porte senza maniglie che venivano aperte dagli infermieri con il manico di una forchetta. Ricordo che nei reparti maschili il nostro arrivo era visto da alcuni infermieri in maniera quasi ironica e provocatoria. Il vedere corpi nudi buttati sui pavimenti non determinò in noi nessun imbarazzo. Ci imbarazzavano invece i corpi buttati sui pavimenti, fossero nudi o vestiti.

La fatica maggiore avveniva nel reparto delle donne: prepararsi significava mettere nelle buste di plastica tutti i loro averi, di qualsiasi natura ed ogniuna veniva fuori con quattro o cinque buste. Ironizzavo su questa cosa, dicevo ...sembri una matta del manicomio...L'utilizzo dell'ironia mi ha accompagnata durante tutta la mia attività con loro. Difficile capire se era meglio vederle uscire alla maniera dei matti o gestire la disperazione che provavano quando venivanode rubati di quei loro pochi averi!

 

...Un grandissimo numero di persone attorniava il pullman fermo ad aspettare le persone da portare nel Centro. Accadeva di tutto pur di convincerci a farli salire sul quel mezzo. Qualcuno ci abbracciava con la speranza di non lasciarci, qualc’un altro simulava crisi epilettiche pur di attirare la nostra attenzione e così via. Difficile superare quel momento ……poi, finalmente la partenza…

 

Al secondo piano di via dei Genovesi 5, nel centro storico di Cagliari gli appartamenti erano composti da stanze e saloni immensi. Una stanza con un tavolo enorme al centro ed alle pareti appesi disegni e cartelloni, testimonianza della loro creatività .

E‘ il laboratorio di recupero di base. Quì Marco ha imparato a leggere e a scrivere. Renzo, in tutta blu, sta invece nel laboratorio di falegnameria: lui e Roberto hanno costruito un pannello per appendere gli attrezzi. Mario disegna ed anche lui fa l’ elettricista. Ma la sua passione è scrivere: aspetta con impazienza il momento in cui verrà allestito il laboratorio di tipografia.

 

Presso l’economato dell’OP, ogniuno di loro aveva depositata la pensione o più pensioni, soldi che non venivano mai prelevati. Supportati dal lavoro di un gruppo di assistenti sociali, decidemmo di richiedere una riunione con il direttore di allora. Strappamo la possibilità che ogniuno potesse prelevare una cifra mensile da utilizzare per le esigenze quotidiane. Venne allestito nel Centro lo spazio "Banca" che funzionava proprio con le regole della banca: orari di apertura per deposito o prelevamento di somme per le esigenze personali, libretto, ricevuta e così via. Nel laboratorio di recupero di base si lavorò alla ri-acquisizione del valore dei soldi. Sempre in quel laboratorio si lavorò all' acquisizione di autonomie sociali: spostamento con mezzi pubblici, uscite per negozi per acquisti. La gioia più grande era osservare la loro gioia. Poter scegliere…poter indossare un indumento comprato con i propri soldi e non più indumenti accattonati quà e là. Si arrivò a lasciare ad ogniuno una certa libertà per andare a far colazione al bar, fare passeggiate nel quartiere o andare dal parrucchiere e quindi curare la propria persona.

Fu un periodo di sperimentazione importante. Persone molto adulte cresciute nell’ospedale psichiatrico, si trovavano non solo fuori ma addirittura ad interagire in un contesto ristretto di centro e più ampio di comunità nel principio dell’accettazione della diversità come punto di partenza per impostare le attività di formazione come sviluppo di personali potenzialità, esattamente come per i „normali“. Così ebbe inizio il nostro intervento.

Restava forte nella nostra proposta formativa il bisogno di accettazione della diversità. Eravamo convinti che molto si poteva dare alla collettività. Nei nostri percorsi operavamo per Motivazione Globale che stava a significare che tutti i laboratori concorrevano al raggiungimento dell'obiettivo prefissato. Non ci ponemmo mai obiettivi semplici. La convinzione era che la società dovesse parlare delle persone folli in modo differente. Già si erano abituati a vederli abitare e vivere il quartiere.

L'obiettivo dei percorsi non era quello di guarirli dalle loro patologie ma il recupero al sociale, la restituzione della dignità umana defraudata. L'iter non era di recuperare la persona nella cultura della "norma" quanto piuttosto di recuperare una cultura come "vissuto" della persona. Il nostro assunto nei tanti anni di attività era stato quello di mettere la persona al centro di tutta l’attività formativa, con la parte sana e con quella malata e per un’utenza sempre più diversificata. Avevamo dei punti fermi:

  • Il recupero e la centralità della persona

  • Lo sviluppo delle potenzialità

  • Il cambiamento del contesto sociale

  • La deistituzionalizzazione

 

Inizialmente nella fase di sperimentazione l’esserci rapportati costantemente a tali obiettivi ci permise di modificare le strutture, i programmi e le metodologie, adeguandoli costantemente alle loro esigenze individuali.

I corsi di formazione professionale della durata di tre anni terminavano con un esame alla presenza di una commissione pluridisciplinare. Esperienza direi unica.

Considerammo l’ospedale psichiatrico luogo di urgente intervento senza nasconderci le difficoltà. Si fece la scelta di mettere il lavoro al centro dell’attività formativa, lavoro produttivo, qualificato, ad alti livelli, socialmente utile proprio per dare risposta a chi, finora ad allora aveva ritenuto che i matti potessero essere impiegati solamente in lavori umili.

L’intervento dell’équipe di Cagliari aveva come obiettivo la deistituzionalizzazione. Ritenevamo fondamentale il rapporto con il territorio umano, luogo aperto, piazza d’incontro.

Il luogo dell’intervento era per noi il Centro, la comunità intesa nel suo significato più estensivo, dalle istituzioni all’insieme quartiere.

L’intervento si svolgeva in due sedi differenti ed il solito pulmino li accompagnava nei rispettivi laboratori, alla presenza di un infermiere dell'OP. L'orario di lavoro era dalle 8.30 alle 12.30 al mattino mentre al pomeriggio dalle 15.30 alle 17.30 le attività si svolgevano in un locale dell'ospedale psichiatrico quello appunto, destinato alle attività espressive. Ovviamente al pomeriggio lo spazio era frequentato da un enorme numero di degenti dell'O.P. perchè aperto a tutti. Attendevano il nostro arrivo con trepidazione.

La sperimentazione fece emergere subito delle criticità sia a livello organizzativo che per la mancanza di collaborazione da parte dell'istituzione ospedaliera. Si andava a scardinare quello che sino allora era solo stato il potere medico. Ma pur con tutte le difficoltà ci furono notevoli miglioramenti riconosciuti prima di tutto da loro stessi, considerati tra i più gravi dall'équipe medico sanitaria dell'OP.

Durante quel percorso formativo venne realizzato un pannello di ceramica con rappresentata la fiaba di Cappuccetto rosso donato ad una scuola materna alla presenza delle autorità locali e del direttore dell’O.P. , realizzato da dieci persone  con età tra i 32 e 60 anni che mai avevano varcato l’enorme cancello di Villa Clara.

Fu un’esperienza significativa. Superare quelli che erano gli stereotipi manicomiali fu un’impresa faticosa. Come spiegare ad Emma che non poteva accovacciarsi in qualsiasi punto si trovasse della città a fare litri e litri di pipì? O a Enrico che sarebbe stato più opportuno non uscire con indosso sette cravate?

Negli anni formativi successici si ebbe un ampliamento e rinnovamento delle attività. Si attivarono laboratori di fotografia, pelletteria, falegnameria, elettrotecnica, ceramica, attività espressive grafico-pittoriche e quello che io ed una collega gestivamo, il laboratorio di recupero di base. I posti per loro aumentarono e divennero 30.

 

Gli operatori si dividevano in pratici e teorici che pur offrendo capacità ed esperienze differenti ogniuno era disponibile alla polivalenza del proprio ruolo in base alle scelte operative stabilite collettivamente. Erano presenti comunque alcune componenti comuni a tutti gli operatori, quali le attività di socializzazione, di formazione e recupero e, fortemente, l’impegno a rimuovere quelle cause di escusione sociali delle persone affette da patologie mentali. Altro assunto era quello di evitare situazioni di dipendenza. In questo in parte ci riuscimmo. Si creò però una forte dipendenza affettiva nostra nei loro confronti e viceversa. Ancora oggi sento presente quell’affetto che allora provavo per ogniuno di loro se pur in maniera differente.

Ogniuno degli operatori era titolare di un laboratorio, ma poichè lavoravamo per una motivazione globale, ogniuno operava e concorreva al raggiungimento dell’obiettivo collaborando con gli altri laboratori. Io stessa ho imparato un sacco di cose.

Il primo e significativo cambiamento fu il poter integrare al gruppo di persone dell’O.P. un certo numero di persone proveniente dal territorio quindi seguito dagli SPDC.

Una prima proiezione verso l'esterno, cioè verso il territorio era stata la rappresentazione del Presepe Vivente nella parrocchia di Sant’Eulalia nel quartiere Marina. Si progettarono e realizzarono scenografie in legno che riprendevano i monumenti caratteristici di Cagliari, scenografie che superavano i tre metri di altezza. Si idearono e realizzarono costumi in stoffe e pelli pregiate per 60 ragazzi che avrebbero recitato nel presepe e si allestì l'impianto luci.  Il laboratorio fotografico corredò con ampia documentazione dalla prima all'ultima fase di lavorazione. Il Presepe venne visitato da circa 6000 persone. Stampa e televisione ne parlarono ampiamente.

Finalmente si diede visibilità ai folli.....

Un'altra proiezione all'esterno fu la partecipazione a Vivicastello, manifestazione organizzata dal comitato per la salvaguardia del quartiere Castello nel centro storico. In quell'occasione il Centro progettò e costruì deici grandi pannelli espositivi in legno con impianto di illuminazione incorporato, per una mostra fotografica e pittorica, sempre progettata e realizzata nel Centro. La mostra illustrava „Castello ieri e oggi“. Rimase in esposizione per giorni nella piazzetta Belvedere a fianco alla Prefettura. Venne costantemente presentata e discussa dagli utenti con il pubblico accorso anche in quell'occasione numerosissimo. Anche in quell'occasione stampa e televisione ne parlò abbondantemente. Venne inserito un documento di sensibilizzazione sui Manicoimi. Il documento, un grande pannello graficamente curato, conteneva varie fotografie dei malati mentali rinchiusi nel Manicomio di Cagliari e un testo descrittivo di un nostro utente a raccontare la propria esperienza vissuta nel Manicomio.

La prima volta a Cagliari che un pubblico numerosissimo, riscaldato dal sole di settembre e circondato da un panorama mozzafiato, guardò le foto dei malatti mentali rinchiusi nell'OP.

Arrivò poi l'estate, era il 21 giugno e questa volta si scelsero i Giardini Pubblici, luogo incantevole. Nell'occasione si presentarono tutti i manufatti, documentazione fotografica, e in collaborazione con un gruppo teatrale si progettò uno spettacolo nonchè la realizzazione di scenografie e costumi. Inoltre una tavola rotonda permise ai politici, medici, Centro (operatori e corsisti) di dibattere e confrontarsi sul problema dei sofferenti psichici, ed in quell'occasione intervistata da un giornalista dissi che l'obiettivo di quel lavoro era che le persone cosidette folli divenissero protagonisti del lavoro. E continuai dicendo che il nostro non era un intervento terapeutico volto a guarire la follia ma era un intervento che mirava ad una riconquista di autonomie di funzioni, alla restituzione di dignità, al riconoscimento di un ruolo sociale. Il tutto con l'obiettivo primario della deistituzionalizzazione.

Inoltre come non ricordare le gite in vari territori della Sardegna: Isola di San Pietro,  Costa Smeralda...tutti loro con la propria valigia e vestiti bellini bellini...di tutto punto!

I miglioramenti che si ottennero furono riconosciuti dai medici psichiatri dell’Ospedale Psichiatrico e del territorio. Orazio Argiolas racconta nel suo libro Passepartout di un paziente inserito nei nostri percorsi. Arrivò da noi con le mani completamente atrofizzate e viveva nei propri escrementi. In poco tempo divenne uno degli allievi più bravi a livello grafico. Disegnava volti di personaggi celebri e cartine di tutto il mondo solamente con la sua rappresentazione mentale. Con quei disegni allestimo la sala dove si svolse il Convegno Nazionale di Riabilitazione Psichiatrica. Qualcuno sperimentò la vita di coppia nel territorio, qualcun’altro sperimentò l’autonomia.

 

Ancora oggi rimane in me la convinzione che venne fatto un lavoro immenso e importante. Ci accompagnò la fortuna che il nucleo portante dell’équipe era formato da capaci e motivate persone, artisti, artigiani validi a livello professionale e umano, quell’umanità che mai ha sconfinato nel pietismo. Un sentimento che non ci ha mai caratterizzato, e tutti con quella dose di follia amalgamata a professionalità che ha reso possibile il raggiungimento di importanti traguardi.

 

Trovai la mia motivazione...

 

Villa Clara

 

Presepe Vivente

 

 

Socializzazione Festa di compleanno

 

 

Mostra fotografica Via Roma

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gita a Carloforte

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Uscita ai Giardini  Pubblici

 

 

                                                                                                                        Addio Città dei Folli  Gli ultimi folli vanno via

 

09/04/2019 17:53:51
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R: ROBA DA MATTI

 ADRI!!!Tu sei e sempre sarai una calamita che attira persona particolari! Ho letto con immenso piacere e profondo interesse, un racconto ricco e dettagliato.Ho avuto la sensazione di vedere una pellicola e dei visi non semplici parole. Si sente che ti è rimasto nel cuore ogni singolo giorno, ma sopratutto è un racconto ricco di emozioni e tu ..ricca di UMANITÀ.  Mi sono commossa, meraviglioso tutto. Grazie per averci regalato una parte di te per non dimenticare. 

09/04/2019 18:11:23
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Massimiliano Rossi

R: ROBA DA MATTI

Grazie anche da parte mia Adriana per i tuoi sempre cosi profondi racconti che sono vere e proprie perle, che ci arricchiscono.

09/04/2019 18:12:18
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Massimiliano Rossi

R: ROBA DA MATTI

speciali anche le immagini che ci posti. ti lancio l'idea di raccoglierle tutte in una apposita gallery che ne dici ?

 

09/04/2019 18:38:32
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TAGLIAFERRI RODOLFO

R: ROBA DA MATTI

Condividendo in TOTO quanto detto da Barbara 75 e rifacendomi alla proposta di Massimiliano, credo, parlando da  fotoamatore, che potrebbe essere oltremodo interessante, se Adriana ne fosse in possesso, visto che il tutto è stato ripreso fotograficamente, avere la posibilità di vedere tutte le fasi del Presepe Vivente! Allora sì che verrebbe una interessante gallery fotografica riguardante un tema molto "interessante" e "specifico" senza nulla togliere agli altri "laboratori" che se ci fossero immagini anche di quelli.....

09/04/2019 22:12:02
Guarda il profilo utente di Alexalex
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R: ROBA DA MATTI

Un grazie di cuore per aver voluto condividere questa tua esperienza. Le immagini sono meravigliose, ma son state soprattutto le tue parole a far sì che questi ''folli'' prendessero corpo. Mi sento un po' più ricca. Ancora grazie. 

09/04/2019 23:34:59
Guarda il profilo utente di Adri
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R: ROBA DA MATTI

Un'amica mi ha inviato per augurarmi la buona notte queste parole di Alda Merini:

Ciò che nella vita rimane, non sono i doni materiali, ma i ricordi di momenti che hai vissuto e ti hanno resa felice.

Grazie a voi per aver accolto il mio racconto non come semplice scritto, ma per esservi fatti carico dell'emozione che scaturisce in me ogni qualvolta ne parlo. A dimostrare e dimostrarmi che forse vivranno sempre con me. Perché li ho amati.

Si Rodolfo, possiedo ampia documentazione sia dell'O.P. che di tutti i lunghi anni di attività. Avendo all'interno del centro il laboratorio di fotografia, tutto veniva documentato anche appunto per la restituzione nel sociale. Il presepe vivente fu l'evento di grandissima portata. Perciò la tua idea Massi, credo si possa attuare. Sono io commossa.

Grazie