La Senavra

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12/12/2011 19:40:32
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Giada

La Senavra

La «Senavra», in corso XXII Marzo, divenne ricovero per i matti nel 1790.
Una storia di disperazione e di «cure» troppo crudeli.

Se vi capita di trovarvi in corso XXII Marzo, all'altezza del numero 50 noterete un ampio edificio in mattoni, sulla cui facciata è collocata una grossa croce.

Se vi avvicinate all'ingresso, vedrete una targa che reca la scritta «La Senavra, parrocchia Preziosissimo Sangue di Gesù» e se entrando troverete questa chiesa quantomeno insolita, sappiate che un tempo non era affatto una chiesa.

Nata, infatti, come luogo di ritiro spirituale dei Gesuiti, fu trasformata in un ricovero per folli da un dispaccio di Maria Teresa del 5 settembre 1780.

La testa rasata, gli occhi sgranati, le labbra in perpetuo movimento, il volto contratto da smorfie di dolore, i pazzi della città si preparavano ad abitare quello che nella prima metà dell'Ottocento sarebbe diventato il manicomio di Milano.
Inizialmente, però, la Senavra accoglieva non solo «i matti e così detti pazzarelli d'ambi li sessi attualmente esistenti nell'Ospedale di S. Vincenzo», ma anche persone sorde, mute o cieche, oltre che i bambini con malformazioni fisiche abbandonati dai genitori.

Senavra, termine che significa senape in dialetto milanese, forse perché su un muro esterno della Casa era Senavra, termine che significa senape in dialetto milanese, forse perché su un muro esterno della Casa era dipinto un albero con la sentenza evangelica «Ex grano sinapis, omnibus oleribus minimo, fit arbor» (da un granello di senape, la più piccola tra tutte le verdure, nascerà un albero), o forse perché i Gesuiti le avevano dato l'appellativo di «scenam auream» (bello spettacolo).

Il luogo dove sorgeva, però, non era certo dei più confortevoli; l'edificio era infatti circondato da fossati di acqua stagnante che rendevano il terreno intorno umido e l'aria maleodorante.
Costruito su tre piani, disponeva di una grande cucina, di diverse dispense e ripostigli e larghi corridoi, ma mancava di bagni, che furono costruiti, insieme ai laboratori, soltanto nei primi decenni dell'Ottocento.

Nel 1782, l'arciduca Ferdinando d'Austria, dopo una visita ai locali della Senavra, trovò che fossero troppo oscuri e umidi perfino per dei pazzi e ordinò, così, di aprire delle piccole finestre e di rialzare i pavimenti.
A partire dalla prima metà dell'Ottocento, il numero dei ricoverati alla Senavra andò aumentando, fino a superare i cinquecento ospiti alla metà del secolo.

Uno dei tanti motivi che contribuì a questo vertiginoso aumento, fu il miglioramento delle funzioni svolte dalle strutture pubbliche e le sempre maggiori sovvenzioni di cui godevano.
Fu proprio un medico dell'istituto a sollevare il problema delle cure mediche offerte agli alienati, domandandosi se antispasmodici, eccitanti e metodi debilitanti potessero realmente servire a «chi divenne pazzo per amore contrariato, per celibato forzato, per decadimento di fortuna».

Un passo avanti in questo senso fu compiuto nel 1790, quando alla figura del chirurgo, fino ad allora unico responsabile dei malati, fu affiancato un dottore in medicina.
Inoltre, gli studi sulla psichiatria cominciarono ad evolvere e anche all'interno della Senavra fu istituito un metodo educativo basato su giochi a premi, incoraggiamenti, consolazioni, ma anche castighi e punizioni, il tutto con lo scopo di migliorare il senso di responsabilità del malato sulle proprie azioni.

Spesso, però, questo tipo di «cure morali» risultava essere più duro e repressivo delle catene stesse (basti pensare che una delle punizione più diffuse consisteva in bagni improvvisi e docce fredde, le cosiddette «bastonate liquide»).
Per far fronte a questo problema, nel 1865 fu aperto il manicomio di Mombello, che, nato come succursale della Senavra, nel 1878 divenne il manicomio unico della provincia di Milano.