Il Casino di Costanza

Vessilo della nostalgia

Era una domenica come molte. Guardavo il telefono sul tavolo con il pensiero che prima o poi potesse squillare. Una strana speranza che con il passare dei minuti aumentava sempre di più: ad un certo punto, ecco una chiamata in arrivo di un caro amico. Improvvisamente il cielo nuvoloso si schiude alle parole: ‘Elvira, si va…Romania e Bulgaria, la prossima settimana.’

Non riesco a contenere l’emotività e comincio a saltellare per il corridoio sotto gli sguardi interrogativi di alcuni amici: ‘Si vede che andrà da qualche parte’.

 

Appena una settimana di preparativi per redigere un cauto programma di quattro giorni: cauto perché abbiamo deciso di tenere conto di probabili fallimenti e tempi di percorrenza dilatati per eventuali (ed inevitabili) imprevisti.

Alla vigilia della partenza dormo appena quattro ore, sull’aereo forse mezz’ora.

 

Non appena arrivati in Romania, prendiamo subito l’auto e ci dirigiamo verso Costanza. I paesaggi che si mostrano ai nostri occhi sono davvero singolari: distese di campi marroni disseminati da rifiuti accompagnano qualche casa in cemento grezzo e mattoni di terra. La strada è stretta, percorsa da molti camion e da vecchie auto dalla quale penzolano santini e croci dagli specchietti retrovisori. Intorno tutto è fermo: sembra che il tempo viva solo la dimensione passata. Oltre un lungo ponte di ferro, entriamo poi in un nuovo paesaggio fatto di colline verdi e colori opachi dettati dalla luce incerta del sole dell’Est. Infine giungiamo, alla Perla del Mar Nero, o almeno quella che doveva essere una delle città più ricche del paese. Camminando per il centro pensiamo di passeggiare in una città devastata da un attacco post-bellico: palazzine in rovina sorgono al fianco di edifici storici e musei, scheletri di cemento mai terminati accompagnano il centro dal neonato sapore europeo di Costanza.

 

Dopo la prima esplorazione in una Sinagoga abbandonata, scendiamo verso il molo. Il tramonto color pastello è accompagnato dalle note stridule di un violino dell’Est, che si intreccia con il vento del Mar Nero, mentre la distesa vitrea incornicia una delle mete esplorative più ambite: il Cazino Liberty di Costanza. Il grande stabile grigio sporco sembra un elegante castello dalle forme morbide e rotonde: emana il suo antico sfarzo imponendosi nel presente come testimonianza di una Belle Epoque che non tornerà più.

 

La mattina dopo varchiamo finalmente la porta di legno del Cazino, trovandoci al cospetto di un’entrata suggestiva che mi ha ricordato la forma ad arco di una conchiglia: le scale dal tappeto rosso, ormai imbrattate da escrementi di piccioni, salgono al piano superiore dove si possono ammirare sontuosi lampadari di cristallo e vetrate colorate dal sapore liberty.

 

La sala da ballo è un grande spazio con una vetrata che riprende il motivo a conchiglia dell’ingresso, al centro del soffitto è posto un altro grande lampadario che ha cessato di illuminare il palco di legno dalla pesante e sporca tenda rossa.

Il vento carico di salmastro entra da ogni finestra rotta del Cazino, sospingendo il visitatore a scoprire le nudità di questo luogo dove il degrado regna sovrano: stanze vuote e decadenti si susseguono fino ad arrivare ad una scala di servizio. Scendo i gradini tappandomi il naso con la sciarpa tanto è malsano l’odore che emana lo stabile poi…un altro ampio locale: il bar.

Posto a piano terra, questo spazio, presenta ancora il grande bancone di legno massiccio, il mobile per le bottiglie a vetro tipicamente liberty e tre lampadari pericolanti pendenti dal soffitto. Il colore della stanza parla di antica sobrietà ed eleganza: le pareti nocciola, si fondono con un verde marcio logorante ed umido che dona alle colonne greche del bar un’aurea vagamente neoclassica. Se si fa attenzione, sembra di immaginare quante persone si sono riunite in questo luogo, tessendo e distruggendo storie in compagnia di eccelsi drink serviti in un contesto fuori dal tempo.

 

Il Cazino è stato fiore all’occhiello della città e non solo sino al 1990 anno della sua chiusura.

Su commissione del Re Carol I, la struttura fu costruita tra il 1904 e 1909 grazie al progetto dall’architetto Daniel Renald. Il Cazino, inaugurato nel 1910, rimane tutt’oggi uno dei  migliori esempi di stile liberty del paese e nonostante le spese per mantenere lo stabile siano davvero pesanti è probabile un piano di recupero per questa perla ritrovata durante un giorno unico, nell’Est.

 

Elvira Macchiavelli

 

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