Intervista a Concetta Pellicanò.

Vivendo il manicomio per abolirlo

Un lungo viaggio nella storia di una famiglia che ha combattuto l’istituzione psichiatrica. Seduta sulla poltrona narra Concetta Pellicanò, moglie di Carmelo Pellicanò, direttore del manicomio di Volterra e di Firenze che provvide alla loro definitiva chiusura.

Pellicanò, dopo la laurea, tornò a Catanzaro esercitando al manicomio della sua città e dove dirigeva anche l’istituto medico psicopedagogico seguendo bambini con disturbi psicologici. Sin da questo primo momento i figli di Pellicanò erano abituati a giocare con i pazienti dell’istituto: i bambini.

‘La diversità è una ricchezza e non un ostacolo’ in questa frase all’avanguardia (sono i primi anni Settanta) si rispecchia tutta la grandezza morale e operativa del medico. Nel 1972 la famiglia si trasferì a Volterra dove il giovane psichiatra prestò servizio per due anni come primario presso il padiglione Verga per poi diventare direttore del grande complesso manicomiale di San Girolamo. Sin da subito operò un’attenta e complessa opera di deistituzionalizzazione dell’ospedale psichiatrico. La corrispondenza negata (quelle lettere mai spedite alle famiglie dei degenti), adesso non simboleggiavano più un valore per la diagnosi ma la volontà di tornare a parlare con il mondo.

Organizzare i reparti per zone di provenienza, far tornare molti pazienti (che in molti casi erano internati per povertà, alcolismo, prostituzione…) dalle loro famiglie sono stati alcuni dei grandi obiettivi che Carmelo Pellicanò riuscì a concretizzare nonostante la difficoltà di così tanta lungimiranza. Cominciare progressivamente a chiudere il manicomio di Volterra significava chiudere ‘la grande fabbrica’ e costringere gli infermieri a lavorare sul territorio presso i centri di igiene mentale e centri diurni.

Come viveva una moglie di un direttore con i suoi figli l’istituzione manicomiale?

La condivisione di questa forte realtà era considerata una fatto naturale, una spontanea condivisione del lavoro del padre. La famiglia viveva nella villa riservata ai direttori dell’ospedale, nel caso di Volterra si parla di villa Eoli, costruita con lo stesso stile dei padiglioni dell’ospedale con i vetri delle  finestre opachi. Concetta visse fino ai primi anni 80’ con quattro figli, e il marito, il delicato compito di reinserimento dei pazienti. Insegnare ai degenti a mangiare con le posate (obbligati a usare le mani e talvolta il cucchiaio quando il pasto domenicale prevedeva gli spaghetti), abituarli ad indossare  vestiti propri invece del saio, accogliere alcuni degenti in casa del direttore per ascoltare i dischi…piccoli passi e gesti quotidiani per un grande progresso.

Concetta Pellicanò ricorda la compagnia teatrale di Pontedera che più volte organizzava spettacoli teatrali eccezionali a Volterra (frequentava infatti il manicomio il regista di un teatro di innovazione, Eugenio Barba).

Il dottor Pellicanò aveva fatto comprare dall’amministrazione ospedaliera una villetta alla Mazzanta dove a turni, i pazienti, potevano trascorrere 15 giorni con i familiari in vacanza al mare a spese dell’amministrazione. Queste persone non erano pericolose e nella raccolta ‘la corrispondenza negata’ si legge di quanto fossero importanti e piene di valore umano (per lungo tempo negato) questo tipo di esperienze.

Per chi non avesse famiglia la situazione era diversa. Concetta ricorda il caso della Sindachessa. Una donna reclusa in manicomio per 50 anni perché in seguito ad una delusione d’amore aveva incendiato il capannone degli attrezzi del fidanzato. Al momento della chiusura del manicomio, grazie a un piano edilizio del sindaco di Volterra Giustarini, su richiesta del dottor Pellicanò, furono riservati alcuni appartamenti agli ex degenti. Tra questi vi era anche la Sindachessa. La mattina la signora Pellicanò andava a insegnarle a cucinare con il fornello a gas, e quando andava a trovarla, la Sindachessa pranzava già un quarto a mezzogiorno: l’orario dell’istituzione manicomiale era radicato profondamente nelle abitudini degli ex degenti ormai ‘liberi’.

Non può mancare anche un ricordo dedicato a Nannetti Oreste Fernando. NOF era una persona tranquilla che non parlava mai con nessuno ma in realtà era ‘uno contro il mondo’. Il suo silenzio era una violenta risposta contro la vita di solitudine e abbandono a cui era stato destinato sin da bambino. Trovando nell’utilizzo dell’ardiglione la sua parola cominciò ad incidere il muro esterno del padiglione Ferri. Con l’epocale sbarco dell’uomo sulla luna, nel 1969, NOF rimase folgorato da questo avvenimento tanto che molti dei suoi graffiti (il mondo con l’ antenna, la luna, le stelle…) erano stati ispirati da questo avvenimento. ‘Il colonnello astrale’ (nome scelto non a caso) e la sua opera di art brut fu sempre nel ricordo di Carmelo Pellicanò. Nonostante la valutazione dell’opera da parte del professore d’arte Mino Trafeli e la richiesta del direttore di porre almeno un vetro davanti all’opera per proteggerla, niente fu fatto e ad oggi ne è stata salvata solo una parte.  

Con la legge 180 del 13 maggio 1978 l’ospedale di Volterra chiuse definitivamente i battenti. Dopo la grande conquista da parte della neo psichiatria, nel 1984 Carmelò Pellicanò assunse il ruolo di direttore dell’ex ospedale psichiatrico San Salvi di Firenze. La delicata opera di chiusura di questo istituto (avvenuta nel 1998) ha portato alla riconversione di un vecchio padiglione in alcuni mini appartamenti destinati agli ex degenti: ridare la dignità agli uomini rendendoli autosufficienti era il grande obiettivo progressivamente raggiunto. Tuttavia in queste strutture non venne mai effettuata nessuna manutezione al punto che le abitazioni furono considerate inagibili. In questo momento la Asl  decise il trasferimento dei degenti in due ospizi lontani da San Salvi privandoli della loro autonomia e libertà. Nel reparto ‘le civette’, oltre ai malati di Alzheimer, furono accolti i pazienti più gravi: si prevedeva persino un servizio di trasporto collegato con le residenze dei pazienti. Pellicanò aveva affidato il reparto ad una cooperativa, ma recentemente, la Asl (alla quale appartengono tuttora le strutture) desiderava di far cessare il servizio trasferendo altrove anche questi malati. Per adesso l’operazione è stata sospesa.

Tuttavia gran parte dell’area San Salvi rimane in stato di degrado. Da subito, nel 1985, Pellicanò cominciò a proporre un piano della riqualificazione dell’area in termini socio culturali e, facendo parte del Comitato Scientifico della fondazione Michelucci, ha fatto elaborare dallo stesso Michelucci dei progetti per la riconversione dell’area che tuttavia rimasero disattesi. Campus universitari, un nuovo teatro, centri per giovani…erano alcune  delle proposte per mantenere viva la cultura a San salvi. Cultura che a San Salvi è comunque presente grazie al laboratorio espressivo ‘La Tinaia’ (attivo all’interno dell’ex ospedale già dal 1964 ) e alla sede della compagnia teatrale Chille de la Balanza. Attualmente l’ex manicomio di San Salvi è in vendita e la Asl vorrebbe destinare parte del ricavato alla ristrutturazione dell’ospedale Torregalli. Tuttavia la legge Rosi Bindi afferma che il ricavato dalla vendita di ex strutture psichiatriche dovrebbe essere reinvestito in servizi altrettanto dedicati alla psichiatria (come la costruzione di nuovi centri diurni).

Cosa significa San Salvi oggi? Aprire le porte dell’area San Salvi significava, e significa, creare un nuovo mondo condiviso e fruibile dalla cittadinanza affinché il polmone verde di Firenze diventi anche il cuore pulsante della cultura, della memoria e del dialogo.

'Elvira Macchiavelli'

 

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