EX SITOCO-Memorie di un Colosso.

Ex Sitoco, produzione di concimi chimici a Orbetello Scalo.

Stavo andando a Roma, avevo quindici anni e ascoltavo la musica nell'ipod.Come al solito guardavo fuori dal finestrino dell'auto in corsa, e poi ad un tratto esclamai di sorpresa. L'immagine di un vero e proprio colosso si stagliava a pochi chilometri da me: una fabbrica immensa le quali ampie vetrate, illuminate da un sole opaco ma intenso, rischiaravano i capannoni apparentemente vuoti. Adesso come allora il suo ricordo mi è cosi' indelebile che il primo pensiero che la mia mente formulo' fu': "appena ho la patente ci vado". Bhe', la patente l'ho presa un anno fa'. ma quel lunedi' 12 settembre, a guidare verso Orbetello Scalo, fu mio padre. Sono passati quattro anni e la sua immagine non è cambiata,è sempre uguale, statica ma concreta. Dopo una breve ricerca in internet riesco a capire che il posto nel quale mi addentrerò è un "postaccio" pieno di roba tossica, sicuramente inquinato da scorie di concimi chimici e Dio solo sa che altro...non c'è male.

La fabbrica, costruita nel 1908, è situata in riva alla Lugana di Orbetello Scalo, vicino alla stazione ferroviaria. Il concime prodotto era legato all'estrazione della pirite nelle miniere dell'Argentario di "terra rossa". Dopo la Seconda Guerra Mondiale le miniere furono chiuse e la crisi economica comincio' ad espandersi, grazie agli elevati costi per l'importazione di materie prime, che servivano alla produzione di acido solforico. Negli anni settanta, alla fabbrica non resto' che diventare partner della federconsorzi. Seguira' il suo fallimento e chiusura definitiva nel 1991. (Notizie rilevate da www.luciacartoni.com)

Arriviamo ad Orbetello Scalo che è mezzogiorno circa, la fabbrica è enorme e si nota benissimo dalla strada. Rinchiusa da un recinto invalicabile, da piante palustri e da una poco efficace segnaletica stradale, ci riesce possibile costeggiare la struttura da un passaggio pedonale, che ci conduce sino alla piazza della piccola stazione. L'ex-Sitoco è imprigionata dietro un muro di cinta e cancelli con spunzoni arrugginiti. Sul muro sono affissi alcuni cartelli: piano di bonifica dell'area, vietato l'ingresso, etc, etc. Non mi do per vinta. un modo per entrare deve pur esserci! Ed infatti c'è. Nella folta vegetazione, sulla parte destra della fabbrica, si dirama un incolto sentiero che porta sino ad un cancelletto arrugginito aperto. passato questo cancello siete letteralmente nascosti da alcune case ( anch'esse abbandonate) probabilmente destinate ad alcuni guardiani o dirigenti della fabbrica. Camminando, si arriva fino ad un secondo fabbricato, a questo punto la strada sembra chiusa ma se costeggiate verso destra ( quindi verso la direzione della nostra meta) arrivate ad un piccolo passaggio nascosto da un albero e siete al cospetto " di una signora grossa e dormiente": l'ex Sitoco.Adesso comincia l’esplorazione. Il primo capannone in pietra ci accoglie come rifugio: si perché per arrivare alla fabbrica vera e propria occorre attraversare uno spiazzo che da proprio sulla piazza della stazione, quindi (anche se è difficile che passi anima viva) c’è sempre il rischio di essere visti... e questa paranoia all’esploratore urbano non gliela leva nessuno!!!JJJ

Come dicevo, il primo capannone ospita alcune scrivanie e mobili di legno, il secondo (praticamente a ridosso di questo) porta con se una barca: le immagini vengono impresse sul rullino nitidamente. C’è silenzio, ogni tanto qualche piccione tuba, sotto il peso degli anfibi qualche tegola o mattone si spezza. Usciamo da questi due ‘magazzini’ dopo poco. Compiamo qualche passo verso il cuore della fabbri- ca, passiamo senza nessun problema una rete di protezione; e ricordatevi di alzare gli occhi se mai ci andate: un tripudio, un labirinto di scale e passaggi di legno sospesi sino al soffitto del capannone. La luce del sole che filtra dai finestroni, colora l’ambiente di un bel color ruggine, che amo tanto delle fabbriche dismesse. Per me? Un estasi. Esco dopo aver fotografato e filmato il tutto.

Una cosa che odio però delle fabbriche abbandonate (o meglio degli uomini) è la massiccia dose di amianto impiegata per la costruzione. In questa, credetemi ce n’è veramente tanto. In un piccolo capannone leggo su di un pannello ‘Vale più un grammo di prudenza che un chilo di medicine’, giro lo sguardo e ti trovo sacchi e sacchi con la frase stampata a lettere cubitali blu: ‘Pericolo, contiene amianto’. Fotografo ed esco, anche se adesso mi mordo le mani. Si, perché proprio in questo piccolo fabbricato c’è ancora la locomotiva usata per il trasporto delle materie; e io che faccio? Le dedico solo uno scatto e per di più da una distanza sostenuta! Seguendo i binari (ben visibili, anche se interrati) della locomotiva giungo ad un’altra parte del sito. In quest’ultimo capannone da me visitato, azzardo l’affermazione che era un’area di produzione fondamentale per l’ex-Sitoco. Infatti ci sono turbine arrugginite, scale di ferro, pannelli di controllo, silos, pompe e strumenti di cui ignoro totalmente il loro funzionamento. Tutto tace, tutto è assopito in un sonno che dura (e chissà quanto ancora durerà) venti anni. C’è caldo, la fronte s’imperla di sudore. Da una piccola porta giungo in una zona adiacente e piena di colonne arrugginite, tutte uguali dalla forma ad ‘Y’. Il tetto è per metà crollato sotto il peso dell’abbandono più che degli anni. Il rivestimento è anche qui di amianto, la polvere circola nell’aria, liberamente, senza curarsi del piano di bonifica imposto dagli uomini. Finisce il rullino: trentasei fotografie si riavvolgono su loro stesse all’interno di una vecchia Canon, producendo l’ultimo rumore vagamente metallico che udirà questa fabbrica.

 

Elvira Macchiavelli

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