L'ATTESA - Storia di una seduta pschiatrica

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04/01/2020 16:41:34
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L'ATTESA - Storia di una seduta pschiatrica

         

L’ATTESA

Storia di una seduta psichiatrica

….è sempre così…arrivo mezz’ora prima per poi avere tutto il tempo di pentirmi di essere arrivato prima. In un’anticamera di un ambulatorio, seduto su una sedia piuttosto scomoda, aspetto il mio turno per il colloquio col mio psicoterapeuta. Fingendo di essere annoiato me ne sto a braccia conserte, sguardo pensieroso e atteggiamento distaccato, caso mai passasse qualcuno... mi sembra d’avere il giusto aplomb, ma le gambe non stanno al gioco e si muovono e saltellano involontariamente tradendo la mia ansia…aspetta...adesso mi ricompongo…devo assolutamente darmi una parvenza di persona con un ottimo self control!...Ma lascia perdere! …questo cercare di sembrare calmo mi agita di più…e allora cerco di distrarmi guardando gli arredi: altre due sedie, un tavolino nell’angolo, un quadro insignificante, un altro quadro insignificante, non c’è di che buttare gli occhi nella stanza…ora ispezioniamo i muri, niente, sono imbiancati a nuovo!… l’impianto elettrico, niente..., è fatto bene! (cosa ne capisco io?) …allora passo in rassegna le mattonelle per cercare qualche difetto che ne so….un po’ di sporco o un difetto nella messa in opera…niente…durante le attese non ti viene in soccorso niente…neanche la negligenza di un piastrellista pagato a ore da un impresario di provincia che si è aggiudicato un appalto di ristrutturazione presso una struttura della ASL grazie a chissà quali conoscenze, favori...niente, proprio un bel lavoro. La voce del medico che da li a poco (speriamo!) mi riceverà rimbomba dentro l’ambulatorio, la porta che ci separa è chiusa e non sento come vorrei quello che dice al paziente di turno; dal volume della voce è facile intuire la modalità con cui si sta svolgendo la seduta, è difficile non riconoscere la classica “cazziata” del dottore...non quella delle grandi occasioni sia chiaro…quella di ordinanza diciamo, quella che ti resetta dico io; va avanti da una mezz’oretta e non penso che siamo già ai titoli di coda, anzi mi sembra dai toni concitati che sia proprio il momento clou, quello in cui vorresti (se sei in quella stanza seduto davanti a lui!) essere da tutt’altra parte. Sono quasi contento che succeda anche a gli altri…eh oh!!...quando ci vuole ci vuole….eh che cavolo!!.....basta che facciano in fretta!

Lo so che è strano e che non c’entra niente però c’è qualcosa nelle attese da questo psichiatra che mi ricordano quelle vissute quando ancora andavo a confessarmi in chiesa; allora ero ancora convinto di vivere nel peccato e di non razzolare affatto bene (perché altrimenti il Divino mi puniva con la mia insofferenza di vivere?), era mio parere che aspettare il mio turno con animo penitente in quel lasso di tempo che mi separava dal trovarmi al cospetto del sacerdote servisse a rendere più efficace il perdono che mi sarebbe stato accordato da lì a poco, e che alla pari della confessione stessa, fosse parte fondamentale per la riuscita dell’operazione. Me la dovevo guadagnare anche con l’attesa l’assoluzione….era utile.

Comunque, non devo fuggire a miei doveri di paziente che attende e mi obbligo a pensare cosa dovrò raccontare al dottore, che argomenti proporre o come avviare il colloquio della seduta odierna, sapendo che era un esercizio del tutto inutile, così come avrei constatato ogni volta nelle sedute successive anche se egli sapeva già dove saremo andati a parare e questo era per me uno degli aspetti ”magici” del mio salvatore…si così io lo definisco intimamente, non vorrei essere frainteso…niente a che vedere con le considerazioni giovanili prima esposte, la sua figura (quella del dottore) è tutt’altro che religiosa e tanto meno angelica, anzi a volerlo descrivere, forse è più un diavoletto, e mai dico mai, dirgli che è buono e compassionevole, è per lui un’offesa, uno sgarbo che non tollera. Non ho mai parlato con lui di come gli piacesse che gli altri lo considerassero: un luminare, un innovatore, un buon professionista o cosa, essendo questo non utile allo sviluppo del nostro rapporto medico-paziente non era di fatto un argomento trattabile. Detto questo sono convinto che non gliene freghi niente, anche perché tutto si può dire di questo psichiatra tranne che impersoni la figura del medico convenzionale, non si direbbe neanche che sia un medico incontrandolo nei corridoi degli ambulatori con il passo svelto e indaffarato, se non fosse il camice bianco che indossa a rivelare la sua appartenenza ai giurati di Ippocrate.

Ricordo ancora la prima volta che lo vidi in un Centro di Salute Mentale: io ero molto spaventato e confuso, ero lì perché mi era stato quasi imposto e non mi piaceva stare in un posto dove curano i “matti”, non mi consideravo tale e perciò non vedevo l’ora d’andarmene da quel luogo con in mano la ricetta medica con la prescrizione di pillole dagli effetti risolutivi, dopo di che non farci più ritorno. Quando entrai nell’ambulatorio dove si trovava lui mi trovai di fronte ad una folta capigliatura prevalentemente bianca che schermava una persona inchinata su una scrivania. Finì di scrivere in silenzio e qualche attimo dopo sollevò la testa e con un sorriso mi disse –buongiorno! – più o meno come il “Good Morning Vietnam” di Robin Williams alla radio nell’omonimo film, “Mamma mia!”, pensai: “ma chi mi è capitato?!”.

Allora chiaramente non potevo saperlo ma avevo di fronte una delle persone più importanti della mia vita, sicuramente quella che più mi è stata utile, e io in quel momento cosi come avrei imparato soltanto dopo grazie a lui, mi facevo condizionare dalle apparenze; se ci penso ora mi vergogno di me e invece quel capellone con la esse sibillina e gli occhi neri pungenti sarebbe diventato da lì a breve e poi per tanti anni a seguire la figura più rassicurante e ferma grazie alla quale ho potuto costruirmi una vita degna di essere considerata tale. Di quel giorno conservo memoria di quando mi passò un foglio A4 sul quale io avrei dovuto scrivere e sul quale esitai accorgendomi che da un lato era stato già usato; mi incoraggiò a non tenerne conto, perché mi disse che odiava buttar via ciò che era ancora utilizzabile e guardandomi intensamente negli occhi sottolineò che ancora di più non sopportava che si buttassero via le esistenze delle persone che aveva in cura: fu di parola, non mi fece buttare via la mia. Comunque ora è tanto che attendo…non come quella volta che capitò che qualcuno “dei piani alti” pensò bene di non concedergli l’utilizzo dell’ambulatorio presso una struttura dell’ASL dove egli svolgeva la sua attività di psicoterapeuta in regime di intramoenia. Egli non ebbe la possibilità di comunicarlo ai suoi pazienti avendolo saputo a sua volta in ritardo. Ricordo che quel giorno fui casualmente il primo che doveva essere ricevuto nel pomeriggio, e mentre aspettavo per delle ore, nessuno tra i colleghi e personale della struttura pensò di informarmi della situazione che si era venuta a creare. E si che l’attesa fu lunga! E questa fu solo una delle ingiustizie, reo di non essere allineato ai potentati. Scaramucce per qualcuno, tragedie vissute sulla propria pelle per altri. Non avevo fino ad allora avuto a che fare con una persona pervasa da ideali quanto lui, mi stupii con quanta forza e determinazione portasse avanti le sue battaglie che per quanto avverse gli fossero, continuava a credere nelle istituzioni e in queste a cercare giustizia. Egli non mi fece mai mancare comunque il suo supporto e continuò a seguirmi anche nell’attesa del riconoscimento dei propri diritti e quelli dei suoi pazienti.

Oggi proprio non ce la può fare a buttarlo fuori...e va beh…..chissà chi è? ….adesso come esce, senza farmene accorgere guardo chi è …deve essere quello sempre vestito bene che non sembra uno che ha bisogno di uno psichiatra,...e si lo so che non c’entra niente!…si dice così tanto per dire! ...Poi un giorno il dottore mi ha chiamato al telefono per dirmi che non ci potevamo vedere perché doveva fare delle visite in ospedale; ah..ah.., pensai, allora si ammala anche lui, ma non glielo dissi, ...mi sembrava fuori luogo scherzare su queste cose...oppure gliele l’ho detto? Non ricordo bene…Poi successivamente sempre per telefono, mi informò che aveva un cancro...non me lo disse cosi, ma con parole sue, non cosi crudamente…ma come se si trattasse di un qualcosa di cui aveva l’assoluto controllo…oppure a me in quel momento così pareva…e continuò a stare male e non ci vedemmo più. Mi sembrò addirittura di essere stato al suo funerale…Non è possibile lo so…e infatti mi chiedo come ho fatto a crederci…ma al momento mi sembrava vero…e mi chiedevo: ma come farò?...non posso fare a meno di lui...che scemo che sono stato… La mia è stata soltanto paura: paura di vivere, di risentirmi di nuovo solo…di stare al mondo…lui invece non ha paura di esserci, c’è sempre...adesso è li dietro questa porta che ruggisce come un leone…

Aspetta un pò!

..rumore di sedie che si spostano, si sono alzati!

...i toni ridiventano cordiali

…sta salutando il paziente

...e vai!

...la porta si è aperta

…anche io mi alzo da questa maledetta sedia

…finalmente l’attesa è finita…

Tocca a me.

M. L.

06/01/2020 00:17:11
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R: L'ATTESA - Storia di una seduta pschiatrica

Dalla scatola dei ricordi è riemerso un momento significativo e indimenticabile. Frugando tra quei ricordi, spostando pezzi dolorosi, sei andato giù in fondo fino a ritrovare quel sorriso. Vedere la persona oltre la malattia, vedere la vita oltre la malattia e improvvisamente ritrovarti a correre attraverso un labirinto fatto di momenti: il primo incontro, la prima seduta, quello che avresti voluto ancora dirgli. Poi velocemente quell’ io è diventato noi, persone essenziali l’uno per l'altro, cortigiani ammessi alla sua corte, inginocchiati davanti al suo più semplice sorriso, di fronte alla grandezza del suo regno di generosità. Gli hai mostrato la tua riconoscenza, riconoscenza senza confini, oltre il mare e l’orizzonte, oltre il cielo e le stelle. Non c'è distanza e tempo che possa sciupare un ricordo, i ricordi quelli belli sono rinchiusi nello scrigno della propria anima dove nessuno li può cancellare.

Grazie Mauro per averci arricchito con il tuo racconto che con noi hai voluto condividere.

06/01/2020 08:43:31
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R: L'ATTESA - Storia di una seduta pschiatrica

Grazie Adriana e grazie a chi ha avuto qualche minuto per leggere la mia testimonianza.

Vorrei aggiungere qualcosa rischiando di apparire banale, correrò il rischio: un vecchio detto dice: "chi pianta tamarindi non raccoglie tamarindi"  ...ammesso che io penso di non aver mai visto un tamarindo in vita mia, so che questi sia una pianta che pur se bene accudita non dà i suoi frutti nell'immediato, pare non basti il volgere di una vita, questo dovrebbe rendere vano il lavoro di chi l'ha messa a dimora, ma chi gli ha piantati non lo fa per sé stesso, lo fa per chi verrà dopo di lui, per il prossimo, per rendere migliore il mondo che dovrà lasciare.

Al pari del lavoro di un "tamarindicoltore" (non credo si chiami cosi) l'opera in chiave terapeutica del medico menzionato nel racconto è tutt'ora un azione viva, presente, sta dando ora i suoi frutti, e non solo per quello che mi riguarda, intorno a lui si era formata una nutrita comunità che giovava del suo apporto sia come professionista che come persona, dopo la sua morte sono rimasto in contatto con molti di questi, conosco le loro storie, il loro percorso è rimasto profondamente segnato dal rapporto avuto con il Dottore (continuiamo a chiamarlo così) utilizzano ancora gli strumenti che inizialmente  furono armi usate in terapia per aggredire il disagio e/o la patologia, ci è rimasto di lui quello per cui ha lavorato una vita. Vorrei tanto che lo sapesse...

M.L

 

06/01/2020 09:53:13
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Massimiliano Rossi

R: L'ATTESA - Storia di una seduta pschiatrica

Grazie a te Mauro, ho letto con interesse la storia, e sono davvero rimasto attaccato a leggerla.. grazie a te ..