"Mostra fotografica - Dove morivano i dannati"

forum dedicato ai passionisti e professionisti della fotografia

02/07/2012 17:26:34
Guarda il profilo utente di LastEgg
Totale Interventi 57

"Mostra fotografica - Dove morivano i dannati"

SINOSSI

"La bellezza dei siti contribuisce potentemente a restituire la calma e la ragione in una mente stravolta. […] Il contatto con la natura, il ritmo delle stagioni, rappresenta una sorta di contrappeso agli smarrimenti dello spirito" (J.P. Falret ­- Des maladies mentales et des asiles d'aliénés, 1864).

E’ forse per seguire questo precetto che il Frenocomio di Volterra fu istituito in un ex convento, su una collina, nel “bosco dei frati” ornato da giganteschi lecci secolari. Una città dolente, destinata ad ospitare “la perduta gente”, perlopiù sconosciuta ai volterrani, così vicina ma al contempo lontana anni luce dalle comode certezze della vita dei “cosiddetti sani”.

«Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto

che tu vedrai le genti dolorose

c'hanno perduto il ben de l'intelletto».

Dante, Inferno, Canto III, 16-18

Varcare le soglie dell’ex manicomio significa passare il confine tra due mondi distinti, lasciarsi alle spalle il mondo della luce alla volta di quello delle ombre, equivale a compiere un viaggio infero con biglietto di ritorno: flashback in bianco e nero,  continui e sovrapposti intasano la mente. Di colpo i reparti sono di nuovo vivi dietro ai finestroni bifori, le foglie caduche coprono i giardini sotto lo sguardo vitreo dei catatonici seduti sulle panchine di pietra serena mentre un Astronautico Ingegnere Minerario*[1] incide la sua corrispondenza con l’universo sul freddo muro che li sovrasta.

La sensazione è che il Frenocomio di Volterra fosse un terminal dell’emarginazione, che imbarcava i  “matti” ed i reietti, non per curare la malattia mentale, ma per isolare ciò che fa nascere nell’uomo la paura di ciò che crede incontrollabile.

Il Frenocomio nacque nel 1888 con la costituzione di una sezione per "dementi" all'interno del ricovero di mendicità dell'ex convento di San Girolamo. Nel corso dei decenni conobbe un vasto sviluppo tale da essere considerato, fino alla legge Basaglia del 1978, uno dei manicomi più grandi d'Italia, arrivando ad ospitare fino a 6000 pazienti.

La struttura è un vero e proprio museo all’aperto, la testimonianza di un capitolo buio della nostra storia, il ricordo di un pertugio di mondo in cui la vita contava poco o nulla. Nonostante ciò, come molte altre realtà simili, è in totale stato di abbandono e a rischio di crollo, quasi come a volersi convincere che la sua esistenza non sia stata realmente vera, come se fosse stato solo un brutto sogno, un errore di gioventù da tenere nascosto.

Lo spirito di un luogo, delle persone che lo hanno vissuto e delle loro storie, rimane permeato nelle mura decrepite e nei rovi di un giardino: questo è ciò che ha catturato l’obiettivo dell’apparecchio di ripresa. Un viaggio dantesco. Come Dante insegna, infatti, soltanto un percorso di lenta, faticosa e travagliata risalita per rileggere ciò che è stato, decifrarne il senso, può condurre al raggiungimento della “pura luce”.  

Il reportage “Dove morivano i dannati” vuole essere una testimonianza di tutto questo, del senso di rabbia, sgomento ed impotenza che si prova a camminare lungo i corridoi spogli, e dell’urgenza di salvaguardare la memoria collettiva, per non aver più paura del cambiamento, del diverso, dell’incontrollabile, per non commettere più gli stessi errori, per tornare “a riveder le stelle”[2].



[1] Così si definiva Nannetti Oreste Fernando, meglio conosciuto come NOF4, ospite del Frenocomio dal 1958 alla sua morte che, utilizzando le fibbie delle cinture, incise una serie di graffiti sugli intonaci del complesso.

[2] Tutte le citazioni ed i riferimenti bibliografici delle didascalie sono tratti da:

Simone Cristicchi “Centro igiene mentale”, 2007 Arnoldo Mondadori Editore

A. Merini “L’altra verità. Diario di una diversa” 2007 BUR Biblioteca Univ. Rizzoli

A. Merini – articolo per “OK, La salute prima di tutto” maggio 2006

B. Tagliacozzi, Adriano Pallotta “Scene da un manicomio” 1998 Edizione Scientifiche Magi

G. Antonucci “Diario dal manicomio. Ricordi e pensieri” 2006 Spirali Editore

F. Basaglia “La distruzione dell'ospedale psichiatrico come luogo di istituzionalizzazione” 1964

F.Basaglia “Che cos'é la Psichiatria” 1967 Piccola biblioteca Einaudi

Gli stralci di lettere dei pazienti inseriti nelle didascalie sono tratti da:

C. Pellicanò, R. Raimondi, G. Agrimi, V.Lusetti, M.Gallevi (a cura di) Corrispondenza negata. Epistolario dalla nave dei folli (1883-1974), 2008 Edizioni del Cerro

S. Cristicchi, A. Puliafito “Dall’altra parte del cancello”, 2007 

BIOGRAFIA DELL’AUTORE

Donati Leonardo di Toscana, nato a Pistoia, Italia, ore 20.25, rione Guado dei Sarti, il 08/11/1981. Moro, spinaceo, castano, alto uno e novanta e due. Naso a ipsilon, orecchie simpatiche, spiritualista e osservatore.  Ama il suo essere spiritualista perché è alto…grado Colonnello Astrale.*

Annoiato dalla geometria dei geometri, scopre l’arte della fotografia, grazie ai suoi maestri Marco Nolano e Andrea Martini, e ben presto si appassiona ad una geometria più creativa e personale: la geometria delle luci e delle ombre. Si dedica allo studio della luce ed alla sua interazione con la materia, ritrovandosi ben presto a pensare “che dove finiscono le sue dita debba in qualche modo incominciare una macchina fotografica”*. Affascinato dall’abbandono, che rievoca ricordi di altre persone, altri luoghi, altre vite, avvia un’indagine fotografica dedicata ai luoghi abbandonati dell’entroterra toscano, catturando immagini capaci di smuovere le coscienze e raccontare storie dal sapore antico e intimo, legando così la sua fotografia al linguaggio emozionale dell’immaginario collettivo.

Nel campo della fotografia sociale ha partecipato nel 2011 al 9° concorso “Scatti di vita” organizzato dal Centro Aiuto alla Vita della Valle del Chiampo. E’ attualmente impegnato nell’allestimento di due esposizioni che avranno per oggetto i suoi “scatti dell’abbandono”.

*N.d.r.: il primo paragrafo della biografia è volutamente ispirato all’autobiografia orale di Nannetti Oreste Fernando (detto N.O.F. 4), tratta da uno dei suoi graffiti sulle mura dell’Ex Frenocomio di Volterra, dove ha vissuto da internato gran parte della sua esistenza.

SEQUENZA E DIDASCALIA DEL PROGETTO
“Dove morivano i dannati_01”
Accedendo dal cancello divelto si accettano le regole del gioco: le pupille si dilatano e si contraggono
per via del buio e un po’ per paura di quello che potrebbero scorgere. Camminando incerto nella
penombra sfioro quei muri che soggezione e fantasia fanno rivivere.
“Dove morivano i dannati_02”
Il frenocomio si sveglia all’alba, nei corridoi profumanti di varichina, riecheggia una insolita e
surreale quiete, squarciata presto però dall’urlo del più mattiniero dei “matti”, lieto di salutare
una nuova giornata di contenzione chimica ed elettroshock.
“Dove morivano i dannati_03”
Gli autosufficienti, composti raggiungono i servizi igienici, alcuni con la vestaglia a righe altri più
sbrigativi completamente nudi. In un angolo, il ricordo, ancora fumante di chi non ha fatto in
tempo a raggiungere la latrina.
“Dove morivano i dannati_04”
Cambiando reparto ci sono le Signorine Pasticche che danno il buongiorno agli esagitati, trasferite
dentro contenitori nominali e su carrelli roteanti che all’occorrenza diventano fugaci monoposto
per i matti.
“Dove morivano i dannati_05”
L’infermeria è satura di sedativi. Una camicia di forza “chimica” che ammansueta il paziente
agitato e violento. Tutto attorno, degenti sembrano letteralmente dormire in piedi. Cocktail di
psicofarmaci ottundono il cervello per l’intera giornata.
“Dove morivano i dannati_06”
I dormitori si svuotano e gli inetti iniziano le loro attività, chi in riabilitazione chi nella serra
botanica. In fondo al corridoio uno rassetta inutilmente i suoi averi, come ogni mattina da 14
anni, per essere dimesso.
“Dove morivano i dannati_07”
Dopo 5 mesi riapre anche una cella di contenimento. Cupa e dall’odore nauseante di piscio, mostra
un tale, magrissimo e brizzolato in capo, barba incolta e camice di cotone. “Aveva ecceduto nella
collera di un litigio scagliando un masso contro suo fratello.”
“Dove morivano i dannati_08”
Lo spioncino della porta accanto occlude parzialmente l’interno. Di spalle Enrico pretende un
controllo ortografico per la sua lettera: “Angiolino mi disse l’ultima volta che venne a trovarmi che
sarebbe ritornato a prendermi e invece non si è fatto più vedere. Pazienza.”. Rassegnato quanto lui,
annuisco.
“Dove morivano i dannati_09”
Nelle camere robusti letti di ferro imprigionano gli autolesionisti. Immobilizzati, evitano di
procurare e procurarsi profonde ferite. Ceppi e possenti catene per polsi e caviglie, applicati
non occasionalmente ma per mesi e anni, sono abituali.
“Dove morivano i dannati_10”
Muovendosi negli androni il dettaglio più evidente e risaltante è l’esasperato utilizzo di ferrate site
ad ogni genere di aperture interne ed esterne: sono mascherate artisticamente per evitare al malato
la trasposizione in carcere.
“Dove morivano i dannati_11”
Nell’archivio stazionano alti scaffali con migliaia di cartelle cliniche, tenuti in costante
aggiornamento dagli infermieri in un via vai continuo come in un formicaio. Anche le lettere
inviate e ricevute dai pazienti vengono archiviate e mai recapitate a destinazione, come veri e
propri referti psichiatrici.
“Dove morivano i dannati_12”
Prima del desinare un novero di inetti viene assiepato nel lungo corridoio che altro non è che
l’anticamera di una sala ancora più grande. In quel magazzino di esseri umani ricurvi su se stessi,
con gli occhi grandi, avvicino Grisa, il ritratto della bellezza, rinchiusa per aver osato ribellarsi ad
un padre violento.
“Dove morivano i dannati_13”
Nel corridoio ci si prepara al “bagno di sole in giardino”. Premorfina per tutti e un’iniezione
di curaro per immobilizzare i muscoli e gli occhi che al contrario schizzerebbero via come biglie
impazzite. L’enorme stanza è riservata agli elettroshock.
“Dove morivano i dannati_14”
Cercando i servizi igienici vengo facilitato da uno sciame di mosche irrequiete che come ciceroni mi
fanno strada. Una vera e propria fogna a cielo aperto, fetida e rivoltante. Aggrava il contesto la
scarsa mira dei pazienti. Docce gelate danno parvenza di bonifiche purificatorie.
“Dove morivano i dannati_15”
I “calmi” in fila uno dietro all’altro o per mano, gli “agitati” sorretti perché hanno braccia e gambe
legate. I “catatonici” sospinti su sedie a rotelle cigolanti o fatiscenti barelle attraversano enormi
porte ferrate per l’ora di luce.
“Dove morivano i dannati_16”
Sul leggio in camera l’inchiostro ancora fresco narra: “…perciò senza fare tante chiacchiere venite
subito qua, e bonariamente senza portarsi rancore una parte e l’altra si fa la separazione legale,
così si campa questi pochi giorni meglio io e voi. Così non si farà ridere il mondo. Mi firmo F.”
“Dove morivano i dannati_17”
Tornando a piano terra trovo i calmi. Tra tutti ne scorgo uno solitario, moro, spinaceo, col naso a
ipsilon. Dentro da una vita per aver opposto resistenza a pubblico ufficiale. Nannetti Oreste
Fernando. Lo seguo fuori. Sale in piedi su una panchina già occupata da tre “compagni” e fissa il
muro.
“Dove morivano i dannati_18”
Costui ha inciso il suo “diario di bordo” sull’intonaco del manicomio per 180 metri, scalzando
meticolosamente i tre catatonici seduti. Scriveva di sé e della sua famiglia, delle sue
futuristiche intuizioni e di viaggi telepatici e aerospaziali. E se il grado di libertà di un uomo
si misurasse dalla grandezza dei suoi sogni?
“Dove morivano i dannati_19”
Perso nei meandri di quella scrittura bustrofedica come in un labirinto di corridoi bui e identici
vengo sorpreso da un dubbio all’interno della sua cartella clinica e m’interrogo su come un
“ignorante e analfabeta” possa essere custode di cotanto sapere e conoscenza.
“Dove morivano i dannati_20”
All’imbrunire una televisione spenta che nessuno guarda, odore di tabacco, urina e cibo. Negli
androni voci deliranti narrano storie che nessuno ascolta: sospiri, pianti, diverse lingue,
orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche.
“Dove morivano i dannati_21”
Le camere si chiudono a doppia mandata e le luci si spengono su un’altra giornata grigia e dal
sapore familiare. Gli inetti da una parte col loro carico di speranza e dall’altra infermieri
analfabeti fermamente convinti delle proprie mansioni. Buio.
“Dove morivano i dannati_22”
Come uno specchio rotto inganna la vista anche l’istituzione manicomiale fa. Un luogo
segregante che, con il suo clima di violenza e di sopraffazione, con la sua totale frustrazione dei
bisogni primari, con le condizioni di vita disumane, invece di curare, paradossalmente crea
patologia.
“Dove morivano i dannati_23”
Una storia per non dimenticare la tragicità del manicomio, barattata come luogo curante
anziché drammatica struttura spersonalizzante, dove era facile entrare ma impossibile uscire.
La nemesi storica non servirà a cancellare e a riparare le colpe o gli orrori del passato ma
potrà fungere da deterrente per il futuro.
“Dove morivano i dannati_24”
Poi la luce. L’intuizione. “La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente
come lo è la ragione. La società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la
follia.” “E se i matti fossero una meravigliosa imperfezione, come uno stupendo sbaglio di Dio?”

04/07/2012 10:18:21
Guarda il profilo utente di elvira
Totale Interventi 986
Elvira Macchiavelli

Re: "Mostra fotografica - Dove morivano i dannati"

Ottimo lavoro Leonardo!   Sicuramente è stata una gran bella mostra, mi dispiace di non esser venuta.

Il tuo reportage è un'altra importante testimonianza e soprattutto denuncia, critica, verso un passato ancora non troppo lontano e distante, se si pensa anche alla realtà degli OPG italiani...