Ex Ospedale Psichiatrico di Q.

Vagando nel passato folle

E’ uno dei complessi più vasti e ben conservati che abbia mai visitato. Una struttura imponente, con le varie ali speculari ed identiche tra loro. I giochi di luce regnano sovrani nella vuota oscurità che, paradossalmente, regna in questo luogo. Sono di nuovo in un manicomio abbandonato, uno dei tanti sul tessuto nazionale che verte in stato di abbandono e miseria. Una rivincita, quasi, dei degenti che vi hanno dimorato: ‘eri la nostra prigione grazie a noi, il pasto della balena e adesso che siamo riemersi, tu crolli come hai fatto crollare noi.’

Il frenocomio di Q. è vuoto ma brulicante di pensieri e sofferenze: gli antri più scuri parlano chiaro, le celle urlano a gran voce, i corridoi si piegano sul visitatore inerme quasi ad inglobarlo nei sui ricordi.  

Nel 1895 il vecchio manicomio della città era ormai divenuto insufficiente così che venne realizzata questa nuova succursale per internare molte donne e altri pazienti ‘meno gravi’ tra gli anni 1885 e 1887. Inoltre, fino al 1904, l’ampia struttura assorbì sempre più degenti provenienti da frenocomi vicini. Tuttavia, nel 1911, gran parte degli internati furono trasferiti nel manicomio di C. e la stessa operazione fu portata avanti anche nel 1944 e 1945, perché l’ospedale psichiatrico divenne un nuovo avamposto militare Italo-tedesco. Durante il fascismo il manicomio arrivò ad internare 1500 degenti (episodio comune a molte realtà psichiatriche italiane). Gli anni che seguirono la guerra videro il trasferimento di tutti gli internati fin quando la struttura non cadde nelle mani delle truppe anglo americane. Una volta terminata la guerra Q. riprese la sua secolare funzione e svolse la sua parte sino al dicembre 1999 con come ‘ricovero-sanatorio’. Quale destino per questa struttura imponente e avvolta dal verde? Nel 2012 è stato presentato un programma di rivalutazione dell’area per trasformarla in una cittadella della salute, in un polo culturale e sociale ma intanto tutto rimane avvolto da un alone di tristezza e abbandono.

 

Elvira Macchiavelli

 

 

 

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