Il Castello di Rousseau

Da convento a residenza nobile

Ci sono storie di quando sei bambina che ti affascinano a tal punto che vorresti viverle davvero. In particolar modo Jules Verne ha creato un vero e proprio mito del viaggio per la scoperta che è difficile non rievocare in questo momento che sto per raccontarvi la storia del castello G., da me ribattezzato, il castello di Rousseau. Posto in un lago italiano

 ‘quest’isola minuscola è tuttavia piacevolissima, e posta in una situazione eccezionale per la felicità d’ un uomo a cui sia caro rinchiudersi in sè’.

Queste sono le parole del filosofo Ginevrino (Jean Jaques Rousseau, Le passeggiate del pensatore solitario, UTET, 1953) riferite all’isola di Saint Pierre, che ho trovato davvero simile al luogo che abbiamo esplorato.

 

Ed è proprio in uno scenario del genere: pieno di pace, sole, semplicità che si trova un’imponente struttura che ha segnato benevolmente le sorti di un paese che ha rischiato più volte di cadere nell’oblio, a causa di crisi economiche, demografiche e ambientali.

Il castello comprende il convento e la chiesa (costruiti nel 1328) dedicati a San Francesco, il santo di Assisi che passò per questi luoghi intorno alla prima metà del 1200.

In seguito al crollo del campanile avvenuto nel 1816, e alla soppressione degli ordini religiosi nel 1860, il complesso fu venduto alla famiglia nobile G. che, restaurando il convento ed ampliando i locali, gli conferì nuova vita e funzioni. Il castello, dedicato alla moglie del nobile, custodiva lussuosi saloni, pregiati quadri e pezzi storici di rilievo come armature, vasi, monete e fossili che diventarono presto attrazione dei circuiti mondani dell’epoca.

Il castello, ormai grande residenza dallo stile neo-gotico, offriva formazione alle giovani ricamatrici di merletti, e lavoro per la manutenzione del luogo anche a molti isolani.

Durante la metà del Novecento, quando l’abbassamento del lago segnò una profonda crisi ittica, la villa scivolò in una lenta e pericolante decadenza nascosta dagli occhi indiscreti di turisti e abitanti: un tacito rassegnarsi di un bene che mai verrà rivalutato, vista la sua imponenza.

 

Condividendo le parole di Rousseau (riguardo al suo soggiorno all’isola di Saint Pierre), posso affermare che quest’esplorazione è stata ‘senza dubbio una bella occasione per un sognatore, che, capace di nutrire anche in mezzo agli oggetti più spiacevoli il proprio spirito di seducenti chimere, poteva allora saziarsene a suo piacimento, facendovi concorrere tutto quanto colpiva realmente i suo sensi’.

 

Camminare per i chiostri divorati dall’edera, salendo stregate scale a chiocciola per cercare, invano, un accesso alla buia chiesa dagli affreschi nascosti, ondeggiare verso una strana luce verde che un tempo, brillante, irradiava di splendore sale e magnificenze, sono belle e rigeneranti sensazioni, nostalgiche, certo, ma estremamente affascinanti.

Elvira Macchiavelli

 

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