Le officine aeronautiche del Duce

Si stenta a notare questo complesso in netto disfacimento: palazzina sbiadita, silenziosa e recintata al bordo di una strada tutta curve e polvere.

Le officine aeronautiche C. sono articolato su più piani dalla decadenza  e precarietà allarmanti ma sono state il fiore all’occhiello del fascismo dal 1930 al 1944.

Le tracce dal passato nero sono ancora visibili: dall’intonaco, infatti, affiorano le parole ‘Duce’, ‘Combattere’, e numeri romani dalla calligrafia squadrata e razionalista.

Posso annoverare le officine tra uno dei luoghi più surreali che abbia mai visitato. Lo scenario apocalittico dell’interno si presenta all’esploratore come un groviglio di lamiere, calcinacci e ferri sporgenti; amalgamati da un unico precario equilibrio dettato dalla decadenza.

Alcuni strani rumori, vera particolarità di questo luogo, sono captati dall’orecchio maturo non appena si varca la soglia delle officine. Il tintinnio arriva da una parte del complesso dove, per rendere ‘sicuro’ lo stabile, si è pensato bene di fissare delle reti metalliche sotto al lucernario, per impedire ai vetri del tetto di frantumarsi al suolo. Secondo voi cosa è successo? Le lastre di vetro sono precipitate nelle reti, sfondandole, oppure, nel peggiore ma reale dei casi, i cristalli sono rimasti intrappolati nelle reti così da oscillare pericolosamente sopra di noi.

Un po’ di storia:

Durante la Seconda grande guerra le officine fornivano lavoro a circa 3000/3500 persone che erano coinvolte nei reparti di ‘falegnameria, saldatura, torneria, molatura,’ per realizzare le ali e la fusoliera degli aerei.

Neanche i pesanti bombardamenti bellici frenarono la produzione tanto che si crearono persino dei bunker sotterranei nel vicino Monte P. per ospitare gli uffici dell’amministrazione.

Alcuni degli aerei prodotti sono stati il Ca.164, il Re2000 e Re2001 (questi ultimi nel 1939 sotto la dirigenza dell’ingegnere P.), e l’S.M.79.

Alcune fonti orali affermano che la prima cellula anti fascista sia nata proprio qui, tra la vicinanza degli operai e dei cittadini di questo piccolo paese Romagnolo, ma le così dette fonte ufficiali non affermano niente in merito.

Tuttavia il nome del Duce, scritto a forti caratteri cubitali, affiora ancora dall’edera di una stanza rossa, dove il nome è ripetuto quattro volte: non abbastanza per essere salvato da un meritato oblio.  

 

Elvira Macchiavelli

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