Quando l’immaginazione creava la decadenza, Giovanni Battista Piranési

'Fotografie dell'abbandono' dal Settecento

Lo scrittore Iosif Brodskij richiamava alla memoria antiche rovine per plasmarle, con sottile intuito creatore, esplorando in passi e in parole le strade di Venezia.

L’incisore ed architetto Giovanni Battista Piranési richiamava alla memoria antiche rovine per collocarle, con sottile intuito creatore, nella realtà e in oniriche rappresentazioni.

 

Quest’ultimo personaggio adotta un particolare punto di vista per l’epoca attribuendo alle rovine un significato sia romantico che storico. Quanto segue è un riassunto della biografia e dell’opera di Piranési, a mio avviso uno dei tanti precursori dell’esplorazione urbana.

 

Il periodo è quello del Settecento, governato dal rigore dell’illuminismo che poneva una certa coerenza anche nell’arte. Non è un caso che la camera ottica era lo strumento maggiormente usato dai pittori dell’epoca per rappresentare nel modo più fedele possibile i suggestivi paesaggi di una città ispiratrice come…Venezia. E’ proprio in questa città che Giovanni Battista Piranési (Mogliano, Mestre, 1720- Roma 1778) cominciò la sua formazione in ambito architettonico, ingegneristico ed artistico. La propria formazione fu favorita grazie alla collaborazione con l’architetto palladiano dal gusto neoclassicista G.A. Scalfarotto , l’incisore C. Zucchi e con lo zio ed ingegnere idraulico M. Lucchesi. Dal vedutismo, (si parla di Scuola Veneziana per indicare quella corrente artistica del Settecento che rappresentava fedelmente le vedute della città) assorbì l’attenzione per le linee prospettiche e per i soggetti urbanistici, ma in particolar modo, fu una variante del vedutismo, il capriccio, ad interessare Piranési.

 

Questa interpretazione artistica (nata nel XV secolo) proponeva di inserire degli elementi fantastici e spesso decadenti nelle rappresentazioni dal vivo: ne è un esempio il paesaggio costiero italiano del pittore settecentesco Marieschi Michele.

La carriera dell’architetto non si fermò, tuttavia, a qualcosa di catalogabile come poteva essere il capriccio, infatti, nel 1740, durante il suo soggiorno a Roma realizzerà alcune incisioni fantastiche che andranno oltre a questa corrente. Nel 1743 la Prima parte di architetture e prospettive inventate da Gio Battista Piranési Architetto veneziano (raccolta di acqueforti dedicate ai ruderi e monumenti classici e della Roma antica) e la prima redazione delle Carceri (nel 1745) consacreranno la figura del giovane architetto. Le tavole di quest’ultimo volume rappresentano particolari terrificanti come strumenti di tortura, ombre e architetture assurde dalle geometrie impossibili che ricordano molto Escher. Le Carceri rientrano nei capricci, o come voleva la cultura classica del tempo, nelle invenzioni, in quanto reinterpretazioni estrose affidate alla tecnica e all’esperimento di Piranési, capace di reinventare scenografie e anguste vedute.

Questi elementi però non sono solo fini a se stessi, anzi, sono stati letti come precursori della sensibilità e del delirio romantico, nonché ispiratori del Surrealismo.  ‘Le visionarie interpretazioni dell’antico’ (come cita la Treccani) dovevano, secondo Piranési ‘stimolare l'immaginazione degli artisti contemporanei’ e a questo proposito cito due volumi che esprimono al meglio il concetto di ‘rovinismo piranesiano’.

La raccolta di ‘Vedute di Roma’ del 1748, conduce l’osservatore attraverso la Roma antica e moderna creando uno sguardo omogeneo sull’organizzazione territoriale della città ponendo in risalto le sue principali bellezze; e ‘Le antichità romane’ del 1756 (probabilmente creato dal crescente interesse per l’archeologia poiché negli anni Cinquanta Piranési visitò le rovine di Ercolano). Le stampe in questione sono una testimonianza della Roma perduta, basate su un attento dibattito archeologico e storico volto a rivalutare l’estetica e l’architettura romana rispetto a quella greca. Inoltre, dai particolari fantastici inseriti nelle rappresentazioni, si legge una forte volontà di tutelare e salvare la città antica per non farla decadere nell’oblio.

Gli acquedotti, i templi e gli scorci tracciati dalla mano di Piranési mostrano una drammatica ma, nello stesso tempo, affascinante decadenza dei luoghi generata dall’uomo ma prolungata dall’elemento naturale e storico. Se da una parte vive il fascino e il mistero però, l’artista vuole anche comunicare la sua nostalgia nel rappresentare qualcosa di totalmente incompatibile con il presente, rilegato ad un passato che possiamo soltanto immaginare da lontano ma rispettare giorno per giorno...sempre più da vicino.

Questa conclusione del pensiero di Piranési mi è sembrato coerente con le attuali regole dell’esplorazione urbana: visitare e rimembrare con rispetto le rovine per ricordarle e  ripensarle in un’ottica futura.

Elvira Macchiavelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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