Memorie della fabbrica


 

Per un tempo vetreria
Montepagani e poi industria chimica Montevivo


 

Il treno è un ottimo mezzo
per viaggiare: ‘economico’,’veloce’, e che permette di rilassarsi su di una
poltroncina ‘pulita’  scrutando il
paesaggio.  Per andare a Firenze occorre
fare tappa ad Empoli, ed è proprio in questa cittadina che si svolgerà la mia
ennesima esplorazione. La fabbrica (ovviamente) che visiterò ha portato per un
lungo periodo il nome di vetreria Montepagani, e solo in un secondo tempo è
stata convertita in industria chimica Montevivo. Empoli ha molte fabbriche in
disuso, anche nel centro si nota qualche ciminiera o cancello chiuso, comunque
‘la fabbrica dalla terra rossa’ (poi spiegherò il motivo ai miei lettori) mi ha
sempre affascinata. Una parte di questa è completamente crollata e lascia
vedere a chiunque le sue nudità: macchinari, travi, i suoi arti molli caduti
sotto il peso degli anni.  L’ex vetreria
è abbastanza grande, ci sono circa quattro capannoni e un’ alta ciminiera. Per
arrivarci è semplice (grazie a google maps) e l’auto è il miglior mezzo per
raggiungerla. Ricordo che per arrivare alla meta abbiamo dovuto attraversare un
campo con dei vigneti, la rete è soltanto intimidatoria perché in alcuni punti
(praticamente su gran parte del perimetro) è caduta a terra. Comincio a
scattare. Il cielo è nuvoloso. Si cammina su mattoni e su sterpaglie, un gatto
ogni tanto scappa tra l’erba alta. Il primo capannone è per metà crollato, non
ci sono macchinari ma soltanto qualche lampadina ancora appesa ad una trave. ‘Paranco
portata 4000’, recita un cartello arrugginito nella stanza dove ci sono ancora
tre forni dove, probabilmente, veniva lavorato il vetro. Camminiamo nell’aria
torrida di un settembre arido. Giungiamo ad una parte della fabbrica piena di
macchinari di ogni genere: grossi contenitori, silos… c’è uno strano odore.
Continuiamo. Scatto fotografie. I piccioni volano da tutte le parti. L’ultimo
padiglione visitato è quello dalla parte della stazione con annesso la grande
ciminiera. I treni passano, i passeggeri scendono, noi continuiamo
l’esplorazione. La terra è rossa, il pavimento è inesistente, solo terra di un
colore vivo, acceso. Da cosa fosse dovuta questa singolare colorazione non lo
so ma quando si volgono gli occhi al cielo, ci si dimentica di ogni
interrogativo. Un piacere per il cuore: travi, ponteggi (quanto mi piacciono),
il sole rischiara il mio sorriso tra le tegole mancanti di un tetto ormai sgretolato.
Quante persone avranno vissuto qui dentro, quante parole hanno inciso queste
mura…interrogativi che affiorano nella mia mente soltanto tornata a casa.
Finisce. Ritorniamo all’auto, prendo un mattone per ricordo, sopra c’è inciso
‘S. Romano’. Le ore che seguono la nostra visita non sono delle migliori:
nausea, pruriti e febbre. Intossicazione da qualcosa? Probabile, ed è per
questo che lancio un consiglio ai miei lettori: le fabbriche sono belle ma, a
mio parere, sono anche le più pericolose per la salute. Indossate magliette a
maniche lunghe, e possibilmente (a seconda della fabbrica che andate ad
esplorare) portatevi una mascherina. Sono sicura che non sono precauzioni
inutili.

 

 

Elvira Macchiavelli

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Commenti

angelo
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re: Memorie della fabbrica

mercoledì 12 ottobre 2011 20:58:39

Però il rischio c'è sempre in ogni avventura...........Ma non sarà per questo che noi ci faremo intimidire.....L'ispirazione metafisica che esercitano questi manufatti di un lontano/vicino passato.......L'amore per la storia.....La fame di sapere curiosità e aneddoti su questi luoghi..........Sono la nostra panacea.

Il vero esploratore urbano è un temerario!

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