Sogni e Speranze di là dal muro, Manoscritti dei ricoverati all’Ospedale psichiatrico di Girifalco (CZ)

Testimonianze dal manicomiod el Sud

Il libro Sogni e Speranze di là dal muro, manoscritti dei ricoverati all’Ospedale psichiatrico di Girifalco (CZ) (Fuori binario, 2011), è una raccolta di pensieri, brevi biografie e frammenti di vita dei degenti del terzo OP del sud Italia.

Carmelo Pellicanò, neo psichiatra e, successivamente, figura di spicco nelle realtà (anti) manicomiale di Volterra e Firenze, cominciò il suo primo impiego a Girifalco nel 1961.

Carmela Pellicanò, moglie dello psichiatra, vuole ricordare, assieme ai suoi figli, l’operato del marito pubblicando una raccolta di temi: flussi comunicativi di quei degenti alla quale è stata finalmente ridonata la parola, l’opinione, l’esistenza.

Le circa venti testimonianze risalgono al 1968-1969, e sono soltanto una piccola parte di quelle voci che dall’Ottocento assediano le mura di un ex convento, donato dalla Provincia a Girifalco per creare uno Spedale dei folli.

Il giovane Carmelo Pellicanò, vista la difficoltà di alcuni degenti nel prendere la parola durante le assemblee, diede loro carta e penna per esprimere opinioni sulla ‘cura senza medicine’, ripensando ai ricordi, definendo la libertà.

Nel testo troviamo ‘il sogno di primavera’ di un degente anonimo:

 

‘Era una splendida giornata, una giornata di sole: ‘bellissima! Disgustato di tutti e di tutto, triste e solitario me ne andai in campagna. Sedetti ai piedi di un antico castello: il vento soffiando lievemente tra i merli delle torri sembrava cantare antichi amori e battaglie’ […] poi ‘ la terra dette un grido che si sentiva da per tutto l’universo […]’ ‘e il mio pensiero volò a Washington, a New York, urlavo e piangevo tra me: la libertà ’.

 

Libertà che anima la volontà di sopravvivere e di sperare di molti, come Domenico che il 24 luglio del 1968 scrive: ‘Io ricoverato…….Domenico chiuso dal 1952 incuesto ospedale ho passato cuattro anni legato dove in cuello periodo quando mi svegliavo il mio sentimento mi costringeva di slegarmi alla forza, perche mi devo salvare la vita’…

Si perché ‘La libertà per l’ammalato psichico è un fattore che non dovrebbe essere diminuito nei confronti degli altri sani. E’ vero che la società deve guardarsi di eventuali atti incoerenti dell’ammalato, ed è giusto, ma l’ammalato mentale deve essere libero completamente quando le sue facoltà mentali glielo permettono…’ Salvatore parla di accoglienza, di buone cure e di una società (e di uno Stato) che dovrebbero manifestare più ‘comprenzione’.

Negli scritti si leggono pensieri lucidi, analitici, occasioni per tirare fuori interrogativi da troppo tempo non ascoltati, ma non solo. Molti degenti indagano per esperienza alcune malattie reputandone la colpa alla scarsa alimentazione (Giambattista 31 luglio 1968) mentre altri si trovano in manicomio senza motivo apparente. Le cure, come i farmaci, secondo alcuni degenti sono necessarie: ‘occorre scegliere gli ammalati le cui attitudini siano meglio delineate e determinate. […] Il lavoro è più di una medicina, con esso l’individuo tende a dimenticare a cercare quelle risorse interiori che lo spinge verso l’azione[…] Un altro sistema è lo svago, il giuoco […] L’istituto psichiatrico dovrebbe avere delle sale giuoco. Con giuoco si creano delle compagnie tali che l’ammalato tende ad avere forme associative, altri metodi sarebbero la musica, il ballo ecc…’ (Salvatore 2 agosto 1968).

In queste frasi leggiamo l’auspicio, poi realizzato, dell’entrata dell’arte negli ospedali psichiatrici.

L’espressione e le iniziative non sono mai cessate (avremo modo di parlarne) all’interno delle istituzioni totali, in progressiva demolizione con il movimento neo-psichiatrico. Ancora, quando varco alcune soglie, è frequente trovare pitture e lavori di alcuni degenti ormai…dove? Morti, accolti dalle famiglie e da altre strutture o reintegrati in quella ‘società che andrebbe prima curata perché non ha i nervi saldi per sopportarci’.

 

Elvira Macchiavelli

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